bio

Dall’essere altrove, altrove dal tempo.
Il concetto di essere – (in)significante esistenza (qual suo modo contingente di manifestarsi e fluire) / identità / predicazione – io riferendo ad altri parimenti indisponentimi, d’essi non ve n’è uno da cui accetto di farmi ingrassare.
Esecro l’ostacolo come opposizione al cui oltre si possa mirare. Non mi curo di alcun oltre. Né mai d’un avanti o dietro, fuori o dentro, qua, là e altre simili scellerataggini. È altrove la scelleratezza che m’appartiene. Il mio altrove, che è nulla per se stesso e (non è) per se stesso tutto, vi è che rassomiglia alla stupefazione cui avidamente aspiro, a quell’essere altro da me remittente, smarrito e depensato pur essendoci, malgrado qui dentro (un qui dentro discolpato dalla biologica comparsata) risoluto sia l’imputridimento, la parabola decompositiva che inizia per la venuta al mondo di tal VLNNNG70T06H228D e s’arresta col suo comune rimorire.
Dentro questo recipiente modesto – stomaco o sensorio che si voglia – nulla muta. Cosa è mai divenuto dall’anno in cui tanto ingenuamente si pensa di avere preso a essere? Parmenide smascherava l’illusione in che consistono il mondo, la vita e il divenire venti secoli prima che Lorhard coniasse l’ontologia. Più banalmente, a me viene da ridere, come un demente che si guarda intorno nel deserto mattutino e vi scorge sempre e soltanto uno specchio.

“Voglio venti unghie smaltate da dio, una Dunhill tra indice e medio e il cervello di uno zombie”